La rivoluzione del vaccino anti-COVID che accelera la ricerca su cancro e sclerosi

La Professoressa Anna Rubartelli, docente all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, spiega come la tecnologia alla base dei vaccini a mRNA potrebbe aiutare a sconfiggere altre malattie

Quando gli scienziati hanno iniziato a cercare un vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2 all’inizio del 2020, hanno fatto attenzione a non promettere un rapido successo. Come riporta un articolo apparso di recente su Nature, il vaccino fatto più velocemente, dalla fase di campionamento a quella di approvazione, ci ha messo 4 anni per vedere la luce: era quello per la parotite negli anni ’60. Sperare perciò in un vaccino Anti-COVID entro l’estate del 2021 sembrava molto ottimista. “Eppure ci hanno messo 42 giorni. Una rivoluzione in campo medico”, ci conferma la Professoressa Anna Rubartelli, docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e membro del gruppo Scienziate per la Società. “Se ce l’avessero detto, non ci avremmo creduto. Ma il bello della ricerca è che ci sono delle accelerazioni improvvise, entusiasmanti”. Non solo. A ben guardare, infatti, la piattaforma e la tecnologia erano pronte da tempo e da anni gli scienziati si occupavano di vaccini a mRNA, come quelli anti-Covid di Pfizer e Moderna, per intenderci. “I poderosi sforzi economici e di risorse umane messi in campo per arrivare presto al vaccino e il numero elevatissimo di persone partecipanti ai trials clinici, nell’ordine di decine di migliaia, hanno fatto il resto”.

Certo è innegabile che, nonostante fosse preparata da anni, sempre di rivoluzione si tratti. È lecito pensare che questo vaccino apra la strada alla messa a punto di vaccini a mRNA contro altri tipi di virus? 

“Certamente. La cosa eccezionale dei vaccini a mRNA è che sono estremamente versatili e di rapida produzione. Inoltre i vaccini a mRNA non hanno bisogno di nessuna manipolazione del virus, come invece avviene in quelli tradizionali. L’RNA di interesse viene letto sulla sequenza depositata in un database e poi costruito in provetta senza che il virus compaia nel laboratorio in cui si fa il vaccino”. 

Come funziona concretamente? 

“I vaccini a mRNA sono una nuova classe di vaccini, composti da una sequenza di RNA messaggero che codifica, cioè porta alla produzione, di una proteina specifica del patogeno contro cui vogliamo ottenere il vaccino. Nel caso del virus del COVID-19 la proteina prescelta è la proteina Spike, perché è quella che permette l’ancoraggio del virus alle cellule e perciò l’infezione. Questo è il sistema su cui si basano sia il Pfizer che il Moderna. Diverso è invece il vaccino Astrazeneca: è anch’esso un vaccino di nuova generazione, quindi sempre di rapida produzione, che utilizza, però, un vettore adenovirale dentro il quale viene inserito un pezzetto di DNA che poi porterà alla produzione della proteina Spike. La sicurezza è garantita: l’adenovirus non è capace di replicarsi e il DNA non può inserirsi nel genoma”. 

Torniamo al mRNA. Come si comporta una volta iniettato nel nostro corpo? 

“Innanzitutto l’RNA viene inserito dentro a una gocciolina lipidica. La funzione di tale nanoparticella è duplice. Da un lato, serve per proteggerlo, perché l’RNA è una molecola molto labile e quando lo si inietta senza protezione viene rapidamente degradato e eliminata dagli enzimi presenti. Inoltre la gocciolina di lipidi permette alla molecola di RNA di attraversare la membrana plasmatica che sarebbe un muro invalicabile per l’RNA non incapsulato. Una volta nella cellula, l’RNA viene rilasciato, e inizia la produzione della proteina Spike. L’RNA è intelligentemente modificato in modo da “invecchiare” ed essere quindi eliminato dopo qualche giorno. La proteina Spike rilasciata, invece, se ne va in giro, stimola produzione di anticorpi, viene presa su dalle cellule dendritiche e dai macrofagi che sono essenziali per indurre l’attivazione dei linfociti T della memoria, che poi rimangono nel nostro corpo pronti, nel caso fossimo contagiati dal virus del COVID-19, ad eliminare rapidamente le prime cellule infettate dal virus impedendo lo sviluppo della malattia”. 

Lo studio dei vaccini a RNA messaggero, dunque, era già in atto 

“Sono almeno vent’anni che si studia questa possibilità. La scienziata che più si è occupata di questo è Katalin Kariko, ricercatrice di origine ungherese che negli anni ’80 è andata negli Stati Uniti a fare la post doc e ha cominciato a studiare la possibilità di iniettare mRNA nelle cellule in vivo per far produrre proteine esogene nell’animale e poi eventualmente nell’uomo. Pensi che è stata molto osteggiata, proprio perché, essendo l’RNA una molecola super labile, nessuno credeva che sarebbe stato possibile ottenere questo risultato”. 

Quindi con il vaccino anti-COVID, questo tipo di tecnica, è la prima volta che vede la luce? 

″È stato prodotto un vaccino contro il virus Zika che però è ancora in trial, e vaccini antitumorali. Anche quest’ultimi sono ancora in studio, ma alcuni hanno già dato buoni risultati: uno di questi, ad esempio, è stato testato su 13 persone affette da melanoma in stadio avanzato: dopo il trattamento, i pazienti hanno sviluppato una forte risposta immune contro il tumore e si è abbassato sensibilmente il rischio di nuove metastasi (Studio pubblicato su Nature nel 2017)”. 

Perché se questi studi erano già in atto per altre malattie, non abbiamo ancora vaccini che ci permettano di difenderci contro il tumore ad esempio? 

“Perché sono in costruzione. L’accelerazione pazzesca che abbiamo visto per il Covid è dovuta al fatto che sono state impegnate enormi risorse umane ed economiche per quella che è stata letta come un’urgenza sociale e politica. Certamente lo sviluppo di questi vaccini ci dimostra quanto velocemente può procedere la ricerca quando c’è una vera emergenza globale e risorse sufficienti”. 

Quindi se mettessimo in campo lo stesso sforzo economico e umano per un vaccino antitumorale riusciremmo ad avere gli stessi risultati in tempi brevi? 

“Questo non lo si può sapere. Sicuramente se lo trasferissimo su altri virus sì. Ma è molto più facile fare un vaccino contro un virus di cui si sa molto, perché i Coronavirus erano già ben conosciuti, già si sapeva ad esempio che la proteina Spike è un buon target da utilizzare in un vaccino. Nel caso dei tumori invece i vaccini sono ancora personalizzati”. 

Ci spieghi meglio. 

“Viene fatta la sequenza del genoma del tumore del paziente e viene comparata con la sequenza del genoma delle cellule sane del paziente.  Quindi, si identificano e si selezionano le proteine mutate, presenti nelle cellule cancerose e non in quelle sane. A questo punto, gli mRNA che codificano per le proteine ​​mutate vengono sintetizzati e utilizzati per fare i vaccini contro le cellule del tumore. Non tutte le mutazioni sono uguali, anche in pazienti con lo stesso tumore. Questo è il limite. Però intanto che questi vaccini a mRNA personalizzati sono in trial, Moderna, BioNTech, CureVac stanno sviluppando dei candidati vaccini pronti all’uso che invece utilizzano sequenze di RNA che portano alla formazione di proteine mutate che sono comuni a più pazienti. Non saranno vaccini potenti come quelli personalizzati, ma saranno pronti all’uso. Se un paziente sviluppa un tumore che ha una proteina mutata uguale a una di quelle utilizzate per costruire il vaccino, gli si potrà fornire il vaccino senza perdere tempo”. 

Va da sé che però questo tipo di vaccini può essere utilizzato per un numero di pazienti esiguo… 

“Infatti sono ancora in fase sperimentale, non sono approvati, non sono in vendita”.   

Il vaccino AntiCOVID come può essere uno stimolo per lo studio e la produzione di vaccini contro altre malattie? 

“Come abbiamo detto, la ricerca che ha contribuito a sviluppare vaccini contro il nuovo coronavirus non è iniziata a gennaio. Il mondo è stato in grado di sviluppare vaccini COVID-19 così rapidamente grazie ad anni di ricerche precedenti sui virus correlati e sui metodi più rapidi per produrre vaccini, grazie ad enormi finanziamenti che hanno permesso alle aziende di eseguire più prove in parallelo e grazie al fatto che le autorità di regolamentazione si sono mosse più rapidamente del normale. Il Covid è stato “un incidente di percorso”: si stavano studiano i vaccini antitumorali, contro altre malattie e contro patogeni da anni e anni. Quello che è cambiato è che con l’emergenza del coronavirus c’è stata una velocizzazione del processo. C’è da sperare che adesso ci saranno finanziamenti più ingenti per questo tipo di ricerca, soprattutto se il vaccino funzionerà bene, come crediamo”.  

E’ in sperimentazione un vaccino contro la sclerosi multipla che sfrutta la stessa tecnica a mRNA del vaccino anticovid. Ed è proprio la BioNTech, la società biotecnologica tedesca che insieme a Pfizer ha realizzato il vaccino contro Covid-19, che ci sta lavorando 

“La tecnologia per i vaccini a RNA contro il COVID-19 e contro la sclerosi multipla è la stessa, ma l’effetto che si vuole ottenere è opposto. Con i vaccini anti-virali e anti-tumorali noi vogliamo indurre una risposta immune, con anticorpi e linfociti T che siano in grado di bloccare il virus o uccidere la cellula tumorale che contiene la proteina contro la quale si è fatto il vaccino. Nella sclerosi multipla il problema è diverso. Infatti si tratta di una malattia autoimmune, causata dal malfunzionamento del sistema immunitario che perde la capacità di riconoscere le proteine del proprio corpo come proteine “amiche” e attiva una risposta immune contro di esse come se fossero proteine “nemiche”. Questa risposta autoimmune attacca le cellule che contengono queste proteine. Nel caso della sclerosi multipla vengono attaccate le proteine della mielina, che è la guaina che riveste le fibre nervose, causando il danno tessutale e i sintomi neurologici”. 

Quindi in questo caso come sarebbe costruito il vaccino? 

“Provo a spiegarlo in modo semplice: in questo caso non vogliamo indurre risposta immune, ma tolleranza verso le proprie proteine. Per ottenere un vaccino che non causi immunità, ma tolleranza, quindi soppressione dell’autoimmunità, l’RNA viene modificato per renderlo non infiammatorio, e quindi inserito in una nanoparticella lipidica che lo veicola all’interno di un tipo di cellule dendritiche. Queste cellule invece di indurre la produzione di linfociti T che fanno immunità, stimolano la produzione di un tipo di linfociti T chiamati “regolatori” che sopprimono l’autoimmunità. Anche questo vaccino è in fase sperimentale, è stato testato soltanto nel topo, in un modello di malattia autoimmune con sintomi simili alla sclerosi multipla. In questi topi il vaccino ha bloccato tutti i segni clinici. Il risultato sul topo è quindi ottimo; da qui al trasferimento sull’uomo, però, il percorso può essere molto complesso, deve passare attraverso altri studi di base, altre sperimentazioni sull’animale e solo se tutti i risultati saranno positivi potrà essere testato sull’uomo”. 

In casi come questi quanto ci vuole per arrivare alla produzione di un vaccino? 

“In condizioni normali ci vogliono parecchi anni, se tutto va bene. Però anche per il vaccino anti-COVID parlavamo di anni, molti di noi immunologi non credevano che in pochi mesi il vaccino sarebbe stato disponibile. Per cui la risposta più sincera che le posso dare è: non lo so. Non è sicuro che negli studi che seguiranno i risultati positivi saranno confermati, non è sicuro che quello che osserviamo nel topo potrà essere traslato facilmente nell’uomo. Tuttavia dobbiamo guardare con molta fiducia e molto interesse allo sviluppo delle ricerche in questo campo, perché possono portare a una ricaduta concreta sulla vita delle persone affette da queste malattie. Sono una fan di questi studi. Ma sono realista”. 

Cosa vuole dire? 

“Di vaccini contro il cancro se ne parla da quando ero neolaureata e siamo al punto che le ho detto. Tuttavia, il bello della ricerca è che ci sono delle accelerazioni improvvise, entusiasmanti. Per il COVID-19 è stato fatto uno sforzo massiccio. Inoltre, va ricordato che fare un vaccino contro un virus è più facile che farlo contro una malattia. Ad esempio nel caso del cancro e della sclerosi dovremo fare vaccini con RNA che codificano per più di una proteina. Invece nel caso del COVID-19 abbiamo fatto solo il vaccino contro la Spike”.  

In caso di altri tipi di virus e altre epidemie si può replicare lo stesso successo? 

“Sì, se il virus si comporta bene! Per esempio nel caso dell’HIV, che è un altro virus a RNA, non siamo stati ancora in grado di produrre un vaccino perché muta troppo rapidamente e le diverse forme che assume gli permettono di sfuggire al controllo da parte di un vaccino. Ce ne sono molti di virus così. Abbiamo avuto “la fortuna”, nella tragedia della pandemia, che il virus del COVID-19 non muta così velocemente perché ha una capacità di controllare le mutazioni che altri virus non hanno”. 

Quindi siamo tranquilli dal punto di vista delle mutazioni che sono già in atto? Ad esempio la variante inglese? 

“La variante inglese ha mutazioni nella proteina Spike che la rendono molto più contagiosa. Per fortuna la malattia che provoca non è più grave di quella causata dal virus non mutato. Il vaccino anti-COVID è stato fatto con l’mRNA che codifica per una proteina Spike diversa da quella della variante inglese, ma l’immunità che induce è in grado comunque di fermare anche la proteina Spike della variante. Infatti, la Spike è una proteina abbastanza grande, e anche se le mutazioni hanno causato piccole differenze in alcuni punti, gli anticorpi indotti dal vaccino sono capaci di bloccarla lo stesso”.

HUFFPOST, Linda Varlese, 22.01.2021